In Overshoot già a maggio: perché l’Italia non riesce a gestire le proprie risorse

Abbiamo finito le risorse, ma forse la notizia vera e propria è che non ci siamo sforzati di salvaguardarle. L’Overshoot Day italiano (6 maggio), calcolato dal Global Footprint Network, determina certamente una sconfitta, ma offre anche la possibilità di aprire una serie di riflessioni sulle risorse che vengono considerate per definire il giorno X, quello da cui non è possibile tornare indietro. 

Overshoot Day, quali sono le risorse?

Volendolo raccontare in maniera spicciola è come se, in termini di sfruttamento delle risorse, ci comportassimo pensando di avere a disposizione tre Pianeti Terra (2,6 a essere precisi). E non uno, nei confronti del quale siamo in debito. 

Partiamo da un dato: l’Italia, nel 2025, è arrivata al suo Giorno di “Superamento” ben undici giorni prima dello scorso anno. Se invece volessimo andare più indietro nel tempo, il dato è ancora più sorprendente e decisamente significativo: nel 2014, l’Overshoot era fissato al 19 agosto, nel 2005 al 20 ottobre, nel 1995 al  21 novembre, infine nel 1987 al 19 dicembre. Insomma, in quasi quarant’anni un giro Terra. 

I parametri su cui si basano le rilevazioni fanno capo a tutte le componenti della biocapacità che tengono conto delle “risorse naturali per la vita delle persone”. Va da sé che i criteri sono variabili, anche perché dipendono dal fattore umano, dalle esigenze di consumo e dalle variazioni climatiche. “Solitamente – spiega la Italian Climate Network – la biocapacità è espressa in ettari globali: un ettaro globale è un ettaro biologicamente produttivo, con una produttività biologica media mondiale per un dato anno”.

Il Bel Paese conta 4.2 ettari globali per persona (GHA), questo significa che la biocapacità è in deficit di 3.2 GHA. 

risorse Italia - Overshoot Day -
@Credits Global Footprint Network – sito web

Spreco alimentare

Non sorprenderà sapere che uno dei primi ambiti in cui gli italiani impiegano spropositatamente le risorse naturali è quello alimentare. Infatti, l’impatto che lo spreco alimentare ha sull’ambiente e sull’impiego di fonti naturali disponibili è imponente: secondo la FAO, nel 2024 lo spreco alimentare in Italia ha registrato un aumento vertiginoso rispetto all’anno precedente, del ben 46%.

Oltre la metà degli sprechi complessivi avviene in casa, questo significa che le famiglie italiane hanno pochissima dimestichezza con una corretta conservazione del cibo, ma anche del dosaggio quotidiano relativo alla preparazione dei pasti. Ora oltre all’enorme impatto ambientale in termini di produzione di gas serra, stimato ancora dalla FAO a 3,3 miliardi di tonnellate di CO2 a livello globale, sussiste anche la criticità legata allo smaltimento: più cibo viene gettato via, maggiori sono le risorse per dover smaltire gli scarti.

Acqua da tutte le parti

La risorsa delle risorse, però, è l’acqua. Nell’immaginario collettivo, pur avendo contezza del fatto che come tutte si tratta di una fonte prosciugabile e finita, l’acqua è indeterminata. Una considerazione non generica, ma ben definita dai dati: in Italia, in media, una persona tende a utilizzare 215 litri d’acqua al giorno.

Secondo uno studio firmato Teha, che fa capo alla The European House Ambrosetti, il nostro Paese è quello con più alto impatto di spreco, più che di utilizzo, di acqua in Europa. Va specificato che nel quadro complessivo deve essere implementato il valore dell’impronta idrica giornaliera (per ogni singolo abitante). Il numero si ottiene andando a moltiplicare il consumo quotidiano per il coefficiente assegnato, che nel caso dell’Italia corrisponde a 29.

Ma perché succede?

Un record di cui non ci si può vantare, è chiaro. Ma perché non riusciamo a contenere questo processo della dilapidazione delle risorse naturali? in primo luogo, perché “stare attenti” richiede un sacrificio; anche i piccoli gesti possono fare la differenza, come ad esempio ricordarsi di chiudere il rubinetto mentre ci si lava i denti. Un evergreen, che speriamo possa presto passare di moda. Oppure, ricorrere il prima possibile alla riparazione delle piccole perdite. Per mancanza di tempo o per una scarsa attenzione alle cose ritenute di second’ordine, si tendono a sottovalutare perdite e malfunzionamenti. 

Secondo poi, va compreso che non si tratta solo di un comportamento del singolo, ma anche di una gestione generale poco efficiente.

L’I4C, nel 2023, raccontava di un rapporto con l’acqua controverso: il prelievo idrico per usi civili, si intende sia nelle abitazioni sia negli edifici, quell’anno ha superato i 9 miliardi di m3, il 75% in più rispetto a Francia e Germania e quasi il doppio della virtuosa Spagna. Nello Special Report, il centro studi ha accertato che il primo motivo è da ricercarsi nell’inadeguatezza della rete idrica. “L’Italia – si legge nella nota – presenta storicamente un problema di infrastrutture, che ha continuato ad aggravarsi nel tempo”. 

Guardando ai dati ISTAT, a tal proposito, il 42% dell’acqua prelevata per quelli che vengono definiti usi civili non arriva a destinazione e viene persa lungo la rete idrica; inoltre il tasso di perdite è aumentato dal 33% del 1990 al 42% del 2020.

Un altro tema è rappresentato dall’economia. La Penisola conta una delle tariffe più basse in Europa in relazione all’acqua potabile; più specificatamente, il 40% in meno della media generale europea. Insomma, se da una parte può essere premiata l’accessibilità al servizio, questo tipo di approccio economico non aiuta a disincentivare gli sprechi. Certo, sensibilizzare in maniera significativa sul tema sarebbe la prima azione, ancora prima di guardare ai costi e alle infrastrutture non all’altezza.

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