Una escalation inarrestabile; giorno dopo giorno sono sempre di più le persone nel mondo che si trovano a dover fare i conti con la crisi alimentare. Il Rapporto globale del Food Crises 2025 denuncia che nel 2024 sono state 295,3 milioni le persone in grave di difficoltà; il conteggio contempla la situazione di 53 Paesi.
Tra i dati disastrosi ce n’è uno particolarmente doloroso: oltre 10 milioni delle persone che versano in condizioni critiche e che soffrono quindi di malnutrizione sono bambini. Se si considerano quelle di Sudan e Gaza parliamo di una condizione di carestia.
Va da sé che uno dei fattori per cui ci si ritrova in una situazione tanto critica è da intendersi nei conflitti. Tutte le guerre in corso generano caos e distruzione, mettendo alle strette famiglie, bambini, che non possono più permettersi cure, cibo e acqua.
I numeri del Rapporto Globale
Presentato a Milano lo scorso 16 maggio, il Global Report, che ricorda essere prodotto da una rete internazionale guidata dal Food Security Information Network (FSIN), pone diverse riflessioni urgenti e necessarie relativamente alla condizione di fame e carestia che alcuni Paesi del mondo si trovano a dover affrontare.
Quasi 300 milioni le persone, come si anticipava in apertura, che nel 2024 hanno vissuto condizioni di grave insicurezza alimentare acuta, ben 13,7 milioni in più rispetto all’anno precedente. Si parla di escalation perché da sei anni non si registrano che peggioramenti.
Le cause
I conflitti rappresentano una delle cause principali di insicurezza alimentare acuta. Un esempio concreto è rappresentato dalla popolazione di Gaza che ha potuto avere accesso agli aiuti umanitari solo nelle ultime ore, dopo essere stata in balia della totale carenza di viveri essenziali per settimane. Come rivela l’indagine, infatti, i Paesi che maggiormente soffrono la condizione sono: Sudan, Gaza, Myanmar e Haiti.
Anche il World Food Program evidenzia quanto i conflitti vadano a compromettere la produzione alimentare, e mettano le persone nella condizione di dover lasciare le proprie abitazioni, i propri impieghi mettendo in serio pericolo anche l’accesso umanitario alle persone più bisognose.
Un altro elemento che non può essere lasciato fuori dall’equazione è da ricercarsi nei cambiamenti climatici. La crisi climatica intensifica eventi estremi come siccità e inondazioni, colpendo milioni di persone in Paesi come Etiopia, Pakistan e Afghanistan. Ma non solo, perché anche le forti piogge e il caldo afoso in periodi dell’anno non convenzionali per quel tipo di temperature mettono in ginocchio la produzione alimentare.
Un recente rapporto del Boston Consulting Group (BCG) realizzato insieme a Quantis, rileva che nel 2050 la produzione agricola mondiale potrebbe rasentare il 35% per tutti i tipi di colture. Questo dato è frutto di un mix tra i cambiamenti climatici e di certo le conseguenze delle guerre. Inevitabile, infatti, non tenere conto anche degli effetti collaterali; non solo i Paesi protagonisti dei conflitti possono vivere situazioni di grande difficoltà, ma anche quelli che di riflesso fanno parte dell’intera complessità dei meccanismi geopolitici.
Infine, uno sguardo all’economia. Il Rapporto in tal senso spiega che “i tagli ai finanziamenti umanitari minacciano servizi vitali: 14 milioni di bambini rischiano di perdere l’accesso all’assistenza nutrizionale. In alcuni contesti, i fondi per gli aiuti alimentari potrebbero essere oggetto di riduzioni fino al 45%”.
Le emergenze estreme
A preoccupare in particolar modo le realtà che lavorano alla realizzazione del Rapporto è che molti Paesi hanno raggiunto la fase IPC5 (Catastrofe-Carestia); si tratta, come è facilmente intuibile, della fase più alta di crisi alimentare.
Per offrire un quadro più preciso, che effettivamente illustra la drammaticità della situazione è un numero: il raddoppio dal 2023 al 2024 delle persone che vivono in tale condizione.
In Sudan, la carestia è stata confermata in 10 regioni, mentre altre 17 sono considerate ad alto rischio. Nella Striscia di Gaza, invece, il 100% della popolazione è stato colpito da insicurezza alimentare acuta. Secondo il rapporto, quasi la metà si è trovata nella seconda fase più grave (“Emergenza”), dunque a un passo dalla carestia.
Si conferma perciò, ancora una volta, urgentissimo e celere l’intervento delle istituzioni politiche e di tutte le realtà il cui peso specifico possa contribuire a un cambiamento affinché non solo venga messo un freno alle atrocità dei conflitti, ma anche perché si pensi a un boost che ostacoli una degenerazione della crisi climatica.