Aumento salariale e gender pay gap in Italia: cosa raccontano gli ultimi dati

Il mercato del lavoro italiano è in crescita. Più precisamente, stando alle ultime rilevazioni ISTAT, durante il primo trimestre 2023 gli occupati sono 104.000 in più rispetto al quarto trimestre 2022 (+0,4%). Buone notizie, insomma. 

Eppure, sussistono delle criticità che riguardano il quadro retributivo: le donne, a parità di grado e mansione, guadagnano meno degli uomini e in termini di aumento salariale l’Italia resta un fanalino di coda. A darne conferma sono i numeri restituiti dal sondaggio People at Work 2023, condotto dall’ADP Research Institute.

Aumento salariale e divario retributivo: l’Italia non compie passi in avanti

L’indagine dell’ADP Research Institute ha coinvolto 32 mila lavoratori in 17 diversi Paesi. I dipendenti italiani che hanno preso parte al sondaggio sono circa 2 mila. Sulla base delle risposte fornite dal campione individuato, l’Istituto ha rilevato che: il 44% dei dipendenti nostrani ha ottenuto un incremento medio dello stipendio del 5,5%; la media rilevata invece per gli altri dipendenti intervistati è del 6,7%. 

L’analisi del dato italiano porta poi a ulteriori considerazioni. In primis, l’aumento salariale appartiene per il 50% ai dipendenti uomini e per il 36% alle dipendenti donne. E ancora: se la media generale dell’aumento è del 5,5%, bisogna però specificare che la retribuzione è salita del 5,8% per gli uomini e del 5,2% per le donne. 

Quindi, non solo l’Italia è indietro rispetto all’aumento salariale medio, ma è tangibile che ancora sta in piedi il gender pay gap. 

Gender pay gap: “Il problema sta peggiorando”

Marcela Uribe, general manager Southern Europe di Adp, ha così commentato i risultati del sondaggio People at Work 2023: “Nonostante l’acceso dibattito in merito al divario retributivo di genere, il problema sta peggiorando. Gli aumenti salariali delle donne semplicemente non tengono il passo con quelli degli uomini e, durante un periodo inflattivo così duro, il problema è più grave che mai. In un momento in cui molte persone stanno affrontando vere difficoltà finanziarie, le donne stanno ancora una volta subendo la situazione peggiore”. 

Uribe, oltre a valutare un peggioramento, offre un ulteriore spunto di riflessione facendo riferimento al contesto socio-economico. D’altra parte, la difficile ripresa post-Covid e gli effetti del conflitto in Ucraina su diversi fronti implicano degli sforzi importanti da parte di aziende e lavoratori. E in un quadro così complesso sono ancora le donne a farne maggiormente le spese, nonostante il costante sottofondo della retorica sulla parità di genere. 

È importante – continua Uribe – che i datori di lavoro dispongano di sistemi solidi per rilevare incoerenze e disuguaglianze nell’importo retribuito del personale in modo da poter affrontare eventuali divari retributivi di genere. In caso contrario, tale ingiustizia potrebbe perpetuarsi, portando alla mancanza di motivazione e minando la lealtà nel migliore dei casi, innescando un esodo di talento femminile che danneggerebbe gravemente la reputazione dell’azienda stessa, minando al suo cosiddetto employer branding”.

La direttiva europea per la riduzione del gender pay gap

Il divario retributivo, ad ogni modo, non è solo un problema italiano – anche se i numeri del Bel Paese sono maggiormente preoccupanti rispetto alla media europea, che è del 13% – e per questo l’UE, lo scorso 17 maggio, ha reso effettiva la direttiva per la parità di retribuzione tra uomini e donne

Una misura che è “volta a rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione”.

Anche perché, così come chiarisce il Consiglio Europeo, la disparità retributiva può determinare i seguenti scenari: le donne sono seriamente esposte a un maggiore rischio di povertà ed è plausibile l’espansione del divario pensionistico dell’UE. 

Un problema che non riguarda solo il parterre femminile

Il sondaggio People at Work 2023 porta alla luce un ulteriore bug di sistema nel mercato del lavoro. La discriminazione salariale appartiene anche ai lavoratori più giovani (per lo più appartenenti alla Generazione Z) e agli over 45. Gli intervistati appartenenti alle fasce d’età citate, infatti, pensano di non ricevere il medesimo trattamento riservato invece ai colleghi che hanno tra i 25 e i 44 anni. 

Sul tema, Marcela Uribe spiega: “Ignorare sia i lavoratori esperti sia i giovani talenti potrebbe rivelarsi una scelta miope, anche se per molti ha un senso dal punto di vista finanziario […] Le competenze e il potenziale dei lavoratori più o meno esperti potrebbero andare perduti se i lavoratori pensassero di poter ottenere una retribuzione più alta altrove. I datori di lavoro devono impegnarsi con la nuova generazione che entra nel mercato del lavoro, non dimenticandosi del know how delle generazioni più anziane.

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