La tecnologia non è più soltanto uno strumento. Con l’avvento e la diffusione pervasiva dei media digitali, è diventata un autentico ambiente, che ci avvolge, ci plasma, ci impone modi di vivere e desideri. Eppure, ognuno di noi dispone ancora di una possibilità fondamentale: scegliere come abitarlo.
Possiamo essere spettatori, quindi osservare e accettare passivamente. Possiamo essere adattivi, cioè servirci delle tecnologie che la modernità ci mette a disposizione, credendo di farne un utilizzo intelligente. Oppure possiamo essere qualcos’altro: ciò che noi professionisti dell’informazione e della comunicazione chiamiamo “persona ristrutturante”.
Da spettatore a persona ristrutturante
Può essere una persona ristrutturante chiunque scelga di vivere consapevolmente all’interno dell’ambiente creato dai media tecnologici. Marshall McLuhan ci ha aiutato a capire che ogni medium ha la forza prodigiosa di generare un nuovo ambiente, che determina i modi di pensare e agire di coloro che ne fanno uso. Ognuno di noi ha però una responsabilità, già richiamata decenni fa dal generale David Sarnoff, secondo cui la tecnologia non è né buona né cattiva, ma dipende da come la si usa.
La realtà contemporanea, che evidenzia la portata profetica della teoria di McLuhan sui media, ci fa capire che questa responsabilità va inquadrata da un’altra prospettiva. Ciò che può fare la differenza nel nostro rapporto quotidiano con l’ambiente mediale è il modo in cui lo abitiamo. Esso produce scelte e desideri preconfezionati che la tecnologia o i social media ci impongono. Chiunque può essere una persona ristrutturante, a patto che compia una scelta rivoluzionaria: rendere questo ambiente ospitale, conferendogli il proprio senso, il proprio ordine.
Lo spazio diventa luogo: la ristrutturazione dell’ambiente
Il geografo Yi-Fu Tuan, nel suo libro Space and Place, riflette su come lo spazio diventi luogo solo se vissuto con significato. Tuan individua uno spazio che ci accomuna tutti, la casa col suo arredamento, e associa quel significato al ritorno, alla pratica abituale. Secondo la sua prospettiva quello spazio diventa luogo solo grazie ai percorsi compiuti ripetutamente al suo interno, all’abitudine di sedersi ogni sera sulla propria poltrona, persino a quella di lavarsi la faccia ogni mattina nel lavandino del proprio bagno.
È qui che si inserisce la persona ristrutturante. La sua scelta rivoluzionaria non ha però a che fare con la pratica ripetuta ma con la disposizione degli oggetti che costituiscono, secondo Tuan, l’arredo di quello spazio, di quella casa.
L’individuo che vuole abitare consapevolmente l’ambiente creato dalla tecnologia non accetta l’ordine di quei mobili ma li riorganizza, secondo un criterio che rispecchi il suo modo di pensare e di vivere. Qui sta la sua responsabilità, verso sé stesso e verso gli altri: non accettare passivamente uno spazio preordinato, ma conferirgli un nuovo ordine che lo renda davvero abitabile e significativo.
Il desiderio che tiene accesa la macchina
Karl Marx sosteneva che il consumo genera la domanda, che la domanda alimenta il consumo e che questi due elementi si sostengono reciprocamente in un rapporto circolare. È proprio quell’ordine predeterminato ad alimentare comportamenti e desideri standardizzati negli individui che vivono acriticamente nell’ambiente mediale contemporaneo e a dirigere le loro scelte legate al consumo, come se il supermercato fosse stato progettato per portarci esattamente davanti a certi scaffali, e farci pensare che siamo stati noi a decidere.
Ne consegue che i loro desideri tengono in vita quel sistema creato dalla tecnologia, che produce beni, lavoro e servizi.
Ma allora, si potrebbe obiettare, che senso ha mettere in discussione l’ordine dell’ambiente mediale e ristrutturarlo se può essere un rischio per l’esistenza stessa dell’intero sistema da cui dipende anche la nostra sopravvivenza?
La persona ristrutturante non vuole abbattere il sistema, ma stimolare gli individui ad abitare questo ambiente senza esserne complici inconsapevoli.
IA, pubblicità, social: l’approccio della persona ristrutturante
Vediamo come questo approccio si declina in tre ambiti molto concreti della nostra esperienza quotidiana.
IA generativa
Oggi molti individui si rivolgono all’intelligenza artificiale generativa per ottenere risposte rapide e preconfezionate, senza l’incombenza di dover fare sforzi. Proprio questo utilizzo comodo e deresponsabilizzante alimenta la partecipazione passiva e acritica all’ambiente mediale contemporaneo. La persona ristrutturante, invece, si pone l’obiettivo di servirsi dell’IA come strumento di confronto, per dare forma a idee che ha già maturato o verificare le proprie intuizioni.
Nell’ambito del giornalismo per esempio sarebbe ingenuo negare che l’IA sta conquistando sempre più spazio. E allora piuttosto che utilizzarla per farsi scrivere interi articoli preconfezionati, si può utilizzare come supporto per individuare spunti idonei a migliorare un articolo già scritto oppure in fase di realizzazione.
Pubblicità
Passiamo alle pubblicità, progettate per suscitare desideri immediati e condurci ad un consumo che spesso non ci appartiene. La loro forza sta nel modo in cui riescono a inserirsi, in maniera scientifica, nei nostri ritmi, nei nostri scroll, nei nostri vuoti. Quello che fa la persona ristrutturante è decodificare la pubblicità, senza mai perdere di vista i propri bisogni reali. Insomma mantiene sempre attivo il proprio spirito critico e così sceglie se accogliere o respingere il desiderio che le viene proposto.
Social media
A proposito dei social infine, la persona ristrutturante vuole far sì che ci si distacchi da alcuni atteggiamenti tipici. C’è l’individuo passivo che si limita a osservare, scrollare e, di fatto, vive all’interno del sistema creato da questi media, senza neanche rendersene conto. C’è poi quello che chiamo prosumer adattivo: è un dato di fatto che oggi siamo diventati, allo stesso tempo, produttori e consumatori di contenuti. In realtà, però, questa produzione è solo adattiva perché avviene entro limiti ben delimitati dalla logica algoritmica, per cui crediamo di essere attivi ma siamo solo attori di un copione già scritto.
In questo ambito la persona ristrutturante non subisce i social, non si limita a partecipare ma li abita aguzzando il proprio criterio. Insomma condivide solo ciò che ha senso per sé e sceglie cosa seguire e cosa ignorare.
E tu? In che modo vuoi abitare questo ambiente?
Forse non possiamo determinare un cambiamento completo e radicale dell’ambiente digitale in cui viviamo. Tuttavia abbiamo una fondamentale possibilità, decidere se lasciarci vivere e condizionare da esso, oppure abitarlo davvero, in modo critico, consapevole, pieno.