La insostenibile pesantezza del calcio italiano

Il caso Juventus, la penalizzazione pesante di 15 punti, e la vicenda plusvalenze… siamo difronte al classico vaso di Pandora che viene scoperto. Ed ad essere messo in luce non sono i mali del mondo, ma i guasti di un calcio malato, diventato economicamente insostenibile.

Non vogliamo entrare nella vicenda giudiziaria della squadra più titolata d’Italia, ma tornare su un argomento che è il vero cuore del problema: il sistema calcio così com’è non regge più.

Le società oramai inseguono profitti in tutti i modi possibili ed immaginabili, anche non immaginabili in alcuni casi.

Schiacciate dai costi di calciatori e procuratori che divorano i ricavi, i club sono vicine al collasso finanziario.

Una situazione che si tramanda oramai da tempo. Non da ieri e neppure dall’altro ieri, ma da anni, assistiamo impassibili ad un circolo vizioso finanziariamente inconcepibile. Una vera e propria giostra impazzita.

Quale che sia il destino della Juventus – senza dimenticare che fra poche settimane partirà il processo penale a carico degli ex dirigenti bianconeri – il calcio non potrà dirsi assolto. Non è serio tirare un sospiro di sollievo osservando il ciclone che si è abbattuto sulla squadra più amata e odiata d’Italia. E soprattutto non regge il classico paradigma: “tutti colpevoli, nessun colpevole”.

Il modello di business non funziona più

Stiamo analizzando un modello di business che si è gonfiato a dismisura nelle spese, legando i propri ricavi via via in modo quasi esclusivo ai diritti televisivi, che da gallina dalle uova d’oro ben presto si sono tramutati in un sistema-capestro capace di definire presente e futuro dei club e dell’intero movimento.

Per comprendere meglio la situazione e anche la vistosa differenza tra il campionato italiano e quello inglese e quando la TV influisca su questo gap, bastano pochi e semplici numeri.

La Premier League inglese ha un contratto per i diritti televisivi da oltre 4 miliardi di euro e ricavi per 7 miliardi e 300 milioni. La Serie A si ferma a poco più di 1 miliardo di diritti tv e 2,4 miliardi di ricavi.

La pandemia ha, infine, portato alla luce la fragilità economica del calcio italiano, nella speranza, almeno, che la crisi non passi invano. Le difficoltà portano, gioco-forza, cambiamenti, nel bene e nel male: riformare dalle fondamenta il modello gestionale della Serie A è diventato, ad oggi, un obbligo etico, morale ma soprattutto economico.

La follia di ingaggi stratosferici anche per comprimari, mezzi calciatori e mezze calzette ha fatto il resto, facendo saltare il banco e costringendo le società ad acrobazie contabili per chiudere in modo apparentemente sostenibile i bilanci.

Plusvalenze e non solo, come viene sottolineato dall’agenzia Sporteconomy.it, specializzata nell’analisi economico-finanziaria dello sport e del calcio in particolare: «Quello che sta succedendo è frutto dell’estrema debolezza della Serie A italiana come movimento e dell’impossibilità di individuare un sistema oggettivo di valutazione del valore dei calciatori. Un vero e proprio “buco normativo” in cui si sono infilati i club. Da non dimenticare, poi, l’oggettiva differenza fra le uniche due società quotate in BorsaJuventus e Lazio – e tutte le altre nella disciplina di bilancio».

Le parole del Ministro per lo Sport Andrea Abodi

«Il tema non è la Juventus, è il sistema calcio nel suo complesso che deve fare un profondo esame di coscienza» così il Ministro per lo Sport, Andrea Abodi, ha commentato il caso Juventus.

Ma il Ministro, nelle sue dichiarazioni di queste settimane va anche oltre: «c’è una responsabilità politica di cambiare le regole nel rispetto dell’autonomia dello sport, perché fenomeni degenerativi vengano limitati. E limitata sia l’interpretazione di questi fatti. Noi vogliamo comunque che lo sport sia trasparente, efficiente, dignitoso e punti alla credibilità e alla reputazione. Quello che sta succedendo non contribuisce a questi obiettivi».

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