Il calcio quotidiano degli InSuperAbili, un modello di sport per tutti che all’estero ci invidiano

Come se fosse il Tiki Taka di Pep Guardiola, una fitta rete di passaggi collega 17 città italiane, con l’intento di imporre un modello differente di giocare a calcio. Da Torino a Modica, passando per Rovetta, Chioggia, e poi giù verso la Capitale ed il tacco d’Italia, un nuovo stile si sta imponendo e si sta prendendo la scena. Non è il futbol bailado di Ronaldo, il Fenomeno, Ronaldinho e Rivaldo, ma è pur sempre allegria. È un mix di tecnica, valori, pensieri, emozioni e conquiste. Non è solo calcio, è sport declinato nella quotidianità, nel benessere psico-fisico e sociale, nella cultura e nella vita. Questo è il gioco del calcio praticato dagli InSuperAbili – letto tutto d’un fiato ma cercando di marcare leggermente le lettere “I”, “S” ed “A”-, una squadra formata da oltre 650 atleti, ragazze e ragazzi con disabilità cognitiva, relazionale, affettivo emotiva, comportamentale, fisica, motoria e sensoriale. A seguirli sul rettangolo di gioco e nel loro percorso quotidiano, invece, ci sono equipe composte da 250 professionisti specializzati e qualificati e 2.500 famiglie.

Ogni volta che questi calciatori mettono piede all’interno di una struttura sportiva per svolgere un allenamento, un’amichevole o una partita, dimostrano al mondo intero quanto potente sia il messaggio contenuto all’interno di una semplice sfera che viene presa a calci e che deve finire la sua corsa all’interno di una rete. Parafrasando Marshall McLuhan, il sociologo canadese che ha teorizzato l’espressione “il medium è il messaggio”, quel pallone è proprio il mezzo che comunica. È altresì un sistema automatico ed automatizzato che apre cancelli, che alza barriere con una semplice, in alcuni casi non lo è neppure, pedata.

 

Risorse.news aveva già conosciuto gli InSuperAbili della sede di Roma, in occasione dell’amichevole disputata contro la Romulea Autistic Football Club e della nascita della Lega Calcio a 8 Unica, il torneo di calcio inclusivo promosso dalla Lega Calcio a 8 di OPES. Con Davide Leonardi, fondatore e presidente di questa splendida eccellenza italiana, invece, siamo andati oltre l’aspetto sportivo ed agonistico. Abbiamo trattato tematiche che ci hanno permesso di comprendere la struttura ed il modello degli InSuperAbili e i motivi per cui queste donne e questi uomini di sport sono amati, seguiti e presi come punto di riferimento da associazioni, società e realtà straniere.

 

 

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“Cerchiamo l’abilità nella disabilità nel modo più semplice: giocando, andiamo Oltre”. Questo è il vostro biglietto da visita, quello che vi definisce appena si iniziare a navigare il vostro sito

Partiamo dalla mission: rendere il mondo un posto più inclusivo. Si parla spesso di inclusione ma non sempre si fa di tutto per imporla. 12 o 13 anni fa, il calcio non era proprio lo sport più inclusivo che ci potesse essere e non era ancora una disciplina integrata. Servivano degli step, dei passi per renderlo uno sport per tutti. Per perseguire la nostra missione, siamo partiti da quello che sappiamo fare e dal nostro credo: sappiamo insegnare il gioco del calcio e crediamo che questa disciplina sia altresì un importantissimo strumento comunicativo per inviare messaggi.

Abbiamo iniziato con questo obiettivo: portare il calcio alla portata di tutti e renderlo, come ci piace dire, un qualcosa che entra nella quotidianità dell’individuo. Se fa parte del quotidiano, allora vuol dire che ha raggiunto il suo massimo splendore. In più, aggiungo che quando questo quotidiano è veramente alla portata di tutti, allora si può dire che abbiamo centrato il nostro obiettivo. Noi facciamo giocare a calcio persone con qualsiasi tipologia di disabilità, lo insegniamo secondo una nostra metodologia di lavoro e lo adattiamo alle caratteristiche di ogni individuo.

Certo che il nome InSuperAbili è di forte impatto. Come lo dobbiamo intendere?

Intanto, dobbiamo dire che dietro al nome ci sono tante linee di pensiero, così come dietro alla costruzione del logo. Il nome lo si può leggere con una parola estesa oppure con una scomposizione in tre parti, un po’ come raffigurato dal nostro logo che mostra in alto “In”, al centro “Super” ed infine “Abili”. Insuperabili, letto per esteso, tutto d’un fiato, ha un forte impatto ed è ben riconoscibile fin da subito. Avevamo bisogno proprio di avere un nome forte, identificativo ed impattante, capace altresì di lanciare un messaggio. Che non è essere imbattibili, perché la legge dello sport include anche la sconfitta, che deve essere accettata e metabolizzata per migliorarsi e continuare a crescere. Nella scomposizione del nome in tre parti, le prime due lettere sottolineano il valore di essere “in” nelle sue molteplice accezioni. Credo che le Olimpiadi di Londra del 2012 abbiano cambiato la mentalità delle persone e favorito quello switch che, anche a livello pubblicitario, mette sullo stesso piano l’atleta disabile con quello normodotato. Prima la persona con disabilità non era in, cool, ma un individuo emarginato.

In è anche il riferimento all’inclusione. Poi, c’è super, con il richiamo ai supereroi e a quel potenziale, a quel super potere che ti permette di superare una difficoltà o un ostacolo, oltre a quei limiti che possono essere fisici o di altra natura. Come la timidezza, e lo dice una persona che è molto timida. Pertanto, ogni tanto, indossare un po’ quel mantello che ti dà quella forza in più è fondamentale. Infine, nella terza riga del logo compare l’aggettivo abili. Siamo tutti quanti dotati di abilità e non dobbiamo dimenticarci di valorizza le nostre qualità.

il calcio degli InSuperAbili
Davide Leonardi, presidente e fondatore degli InSuperAbili

Valorizzare le qualità del singolo ragazzo deve essere l’obiettivo finale anche del tecnico sportivo. Ma è difficile spiegarlo ad un tecnico che entra nella vostra organizzazione?

Credo che sia più difficile farlo capire alla società rispetto ai tecnici. Fortunatamente, per tecnici, intendiamo delle equipe multidisciplinari che sono composte da insegnanti di calcio, psicologi ed educatori. Tutti insieme costituiscono un unico team di lavoro. Dico che è più difficile farlo capire alla società per un motivo: l’insegnamento dello sport, ed è un paradosso in Italia visto che vinciamo medaglie e trofei ma permettiamo agli studenti di avere nel loro piano di studi solo due ore di educazione fisica a settimana, deve essere il nostro fiore all’occhiello, qualcosa di molto serio. Per fortuna, ora, c’è anche l’articolo 33 della Costituzione che stabilisce che lo sport è un diritto inalienabile, riconoscendone anche i suoi valori e la sua funzione.

Non si può improvvisare l’insegnamento di una disciplina sportiva. Non basta la passione. Non è sufficiente vedere tanto sport per saperlo insegnare, bisogna conoscerlo e non è sufficiente neppure questo aspetto. La formazione dei tecnici è proprio uno dei pilastri sulla quale si poggia la metodologia di insegnamento e la struttura degli InSuperAbili. Lavoriamo con del personale qualificato, ma nel momento in cui un professionista entra a far parte della nostra famiglia, abbiamo necessità di formarlo, perché poi dovrà andare ad insegnare sul campo la nostra metodologia di calcio, che è differente e più evoluta rispetto all’insegnamento che noi tutti conosciamo.

il calcio degli insuperabili
Le equipe che seguono i ragazzi degli InSuperAbili sono formate da 250 professionisti

Spieghiamo allora qual è il metodo degli InSuperAbili

C’è proprio un metodo InSuperAbili. All’interno della nostra struttura abbiamo un’area di ricerca e sviluppo, di cui siamo fieri ed orgogliosi, che da 11 anni permette alla nostra metodologia didattica di evolvere. Questo nostro asset, inoltre, sta collaborando e lavorando al fianco dell’Università, con l’intento di certificare il nostro sistema e le nostre procedure. Tra le altre cose, siamo diventati fondazione da un anno e mezzo, unendo la nostra ONLUS al gruppo EcoEridania. La fondazione EcoEridania InSuperAbili ha al suo interno quattro macro aree di intervento: la prima è la parte dell’insegnamento dello sport a persone con disabilità; la seconda si interessa di ricerca ed ha come obiettivo proprio il miglioramento della metodologia di formazione e di insegnamento; la terza riguarda gli inserimenti lavorativi; la quarta l’educazione. La parte dell’educazione è rilevante e funzionale, perché ci permette di entrare all’interno delle scuole e di sensibilizzare gli studenti sul fatto che è possibile giocare a calcio e fare qualsiasi attività insieme a persone con disabilità. Non dimentichiamoci che, per i bambini, il concetto di inclusione è naturale. Il nostro compito è quello di continuare ad incentivare la costruzione di una società più aperta ed inclusiva, affinché i più piccoli, quando crescono, non vengano contaminati dai messaggi negativi che arrivano dall’esterno. Lavorando sui bambini, riusciamo ad ottenere ottimi risultati.

il calcio degli InSuperAbili
Metodologia e passione

Presidente, come avete affrontato il biennio 2020-2021? Come è cambiata la vostra organizzazione e come siete riusciti a tenere viva la passione nei ragazzi che, da un momento all’altro, hanno smesso di praticare la disciplina che amano e rischiato di non ritornare più al campo di allenamento?

Purtroppo, il covid ha influenzato tutte le nostre attività nel 2020-2022. La nostra particolare disciplina è stata l’ultima a riprendere. Anzi, ha riaperto, poi ha chiuso di nuovo ed aperto ancora una volta dopo qualche mese. Solo verso la fine dello scorso anno siamo riusciti a trovare un po’ di continuità. Credo che a Torino siamo stati i primi ad adottare lo smart working con tutti i nostri collaboratori e tra i primi a sospendere le attività di campo, perché fortunatamente avevamo capito che la situazione era un po’ più grave del previsto. Ci siamo adattati per continuare a stare con i nostri ragazzi. Per un anno abbiamo convertito le attività di campo in classi di zoom, creando una vera e propria scuola interattiva che cercava di adattare la materia di insegnamento al mondo calcistico. Pertanto, l’educazione fisica era rappresentata dai nostri allenamenti, che in questa maniera potevano continuare da casa per due o tre volte a settimana. La storia, la geografia e l’italiano, ad esempio, diventavano rispettivamente storia dello sport, racconti delle città e delle loro strutture sportive e letture di libri che volevano accompagnare i nostri ragazzi nella solitudine della loro giornata.

Poi, è vero che anche la scuola ha iniziato a fare delle attività interattive a distanza, ma per i nostri InSuperAbili risultava un po’ più difficile, soprattutto se non avevano accanto delle persone in grado di seguirli. Ed è così che ci siamo inventati questa attività prima di tornare sul campo a gruppi alternati.

L’associazione in quei due anni è cambiata perché ha investito tutto quel tempo per ristrutturarsi, anche internamente, partendo dall’organigramma. Abbiamo scritto un libro interno per i nostri collaboratori, dato vita ad una piattaforma di e-learning, che per adesso è a nostro uso esclusivo ma che dal 2024 sarà aperta al pubblico. In poche parole, abbiamo cercato di fare del nostro meglio in un periodo complicato.

 

Avvicinare un ragazzo con disabilità allo sport vuol dire instaurare un dialogo con la famiglia. Come curate il rapporto con i genitori dei vostri ragazzi?

Il rapporto con le famiglie è essenziale, anche se ci troviamo di fronte a degli opposti totali. Ci sono dei genitori che effettivamente faticano ad accettare la disabilità del proprio figlio o della propria figlia, altri che si vergognano di averla e quindi, per loro, diventa molto più facile impedire al ragazzo o alla ragazza di poter avere una vita quotidiana e di svolgere delle attività fuori dalle mura domestiche. C’è pure chi la vive in una maniera serena ed intravede nel figlio o nella figlia la possibilità di praticare sport o svolgere delle attività, ma ci sono pure le famiglie che vanno sopra le righe, perché magari vogliono cercare di dare al proprio figlio il massimo, andando anche oltre le loro possibilità. Quindi, ci troviamo ad instaurare e a gestire un variegato e differente panorama di rapporti con i genitori. L’obiettivo, in ogni caso, è sempre quello di riuscire ad instaurare un rapporto di fiducia. Senza le famiglie, noi non potremmo svolgere il lavoro che facciamo. Noi siamo consapevoli che il nostro operato impatta, se va bene, per il 10% nella vita di un ragazzo. Dobbiamo intraprendere ogni azione in punta di piedi, compierla con la massima professionalità, sapendo che, senza la fiducia ed il supporto di papà e mamme, noi diventiamo inutili. Visto che noi invece vogliamo essere utili per i ragazzi, ed anche un po’ per le stesse famiglie, non dobbiamo sottovalutare l’importanza di questa relazione.

 

Ci sono le relazioni con le famiglie e anche quelle con i testimonial. Sono davvero tanti gli sportivi che vi supportano, a cominciare da Giorgio Chiellini, che adesso gioca a Los Angeles e che è stato anche capitano della Juventus, e del portiere più forte di tutti i tempi, Gianluigi Buffon. 

 

Per noi, loro sono fondamentali. Intanto, perché sono una cassa di risonanza che noi ovviamente non potremmo mai raggiungere. Faccio anche fatica a reputarli soltanto come dei semplici testimonial, in realtà loro sono moto più vicini al significato della parola amico. Sono nostri amici perché hanno capito molto bene quello che facciamo e quanto loro possano essere importanti per la nostra struttura, non solo da un punto di vista mediatico. Uno degli aspetti essenziali dei nostri testimonial è la loro conoscenza dei ragazzi. Quando si informano sull’andamento dei nostri ragazzi o quando inviano in maniera spontanea un messaggio per sapere come stanno andando le attività, loro ci dimostrano il loro interesse e la loro vicinanza. Tutto questo non è per nulla scontato. Nel periodo del Covid, tra l’altro, sono stati i primi a diventare allenatori dei nostri atleti, proponendo esercitazioni video che i nostri ragazzi eseguivano a casa come allenamento.

il calcio degli InSuperAbili

 

Non è scontato l’interesse dei testimonial e non sono per nulla scontati i progetti che sostenete, come quello della Lega Calcio a 8 Unica. Vorrei chiederle se ci sono progetti in rampa di lancio e poi che cos’è lo sport per i vostri ragazzi?

Tre le attività in cantiere o in rampa di lancio, c’è sicuramente la nascita della Lega Calcio a 8 Unica, che permetterà ai nostri ragazzi di confrontarsi con altri atleti, appartenenti ad altre 5 società, all’interno di una splendida cornice come quella della Lega Calcio a 8. Aprire al settore for special rappresenta un passo lungimirante da parte di questo straordinario movimento che ha raggiunto risultati considerevoli, anche dal punto di vista mediatico.

Quest’anno, poi, vorremmo tornare all’estero, visto che diverse realtà ci hanno contattato. Siamo andati in Arabia e poi in Ungheria. Adesso ci stiamo rapportando con la Spagna, anche perché siamo gemellati con il Levante. L’intenzione è quella di portare avanti dei corsi formativi che permettano ai nostri colleghi stranieri di svolgere attività sul campo nel miglior modo possibile e secondo la metodologia degli InSuperAbili.

Quindi, c’è il sogno nel cassetto: realizzare la nostra casa, ovvero un impianto sportivo di proprietà. Il centro sarà molto particolare: nelle nostre intenzioni, visto che abbiamo un’area dedicata agli inserimenti lavorativi, sarà gestito completamente dai nostri atleti. Dalla ristorazione alla manutenzione, sono veramente tante le attività che i nostri ragazzi potranno svolgere. Più che un sogno, l’impianto di proprietà dovrà diventare un obiettivo.

Il calcio per loro è tanto. Non dico tutto, perché non voglio pensare che sia così. Però è sicuramente fondamentale. Quando svolgono i loro due o tre allenamenti alla settimana o le partite, si sentono come un atleta che sta per disputare la Champions League o la finale di Coppa del Mondo. Per come si approcciano allo sport e si impegnano, loro vivono il calcio da professionisti.

Gli InSuperAbili ed il calcio inclusivo
Maria Iole Volpi, tecnico della formazione degli InSuperAbili che parteciperà alla Lega Calcio a 8 Unica

Chiudiamo con due domande. La prima: che cosa significa per lei fare associazionismo? La seconda, invece, è: cos’è per te il valore sociale? 

 

Parto da un aspetto molto semplice: credo che da soli si possa fare poca strada. Credo altresì che la contaminazione sia fondamentale: dal confronto, così come dalla collaborazione, nascono le migliori realtà. In Italia abbiamo il difetto di guardare il nostro orticello e tendiamo ad essere invidiosi gli uni degli altri. L’associazionismo, per fortuna, ci cambia la prospettiva, conducendoci alla condivisione. Nel potere del verbo condividere c’è il confronto, la volontà di apprendere dagli altri, di crescere insieme e di elevare all’ennesima potenza il valore delle idee, delle nostre forze o delle nostre singole qualità. Questo è ciò in cui crediamo e che, ogni giorno, cerchiamo di mettere in atto, anche se trattiamo come un’unica realtà tutte le nostre sedi territoriali. La contaminazione con i colleghi della Sicilia, del Lazio o del Veneto ci ha permesso di sviluppare il metodo che oggi gli InSuperAbili adottano. Se fossimo rimasti chiusi nella nostra Torino, senza la possibilità di aprirci agli altri, di sicuro non saremmo mai arrivati a questo livello. Credo che il valore sociale sia proprio questo.

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